Di Nicola Acutt, Vice President, Environmental, Social, Governance (ESG) – Office of the CTO, VMware
All’inizio della mia carriera, non immaginavo che un giorno avrei lavorato per un’azienda IT, credevo che sarei rimasta per sempre nel mondo accademico. Volevo ispirare generazioni di studenti della Presidio Graduate School a occuparsi di sostenibilità. Mi assicuravo che leggessero “Tempered Radicals” di Debra Meyerson, la guida che spiega come essere gli artefici di cambiamenti positivi dall’interno delle organizzazioni. Li incoraggiavo a essere loro stessi agenti del cambiamento per creare un mondo migliore e più rispettoso dell’ambiente una volta entrati nel mondo del lavoro.
Che cosa mi ha spinto a lasciare l’insegnamento e diventare io stessa agente del cambiamento? Sono sempre stata mossa dal desiderio di fare la differenza nel mondo, di creare quanto più bene possibile. Quando si è presentata l’occasione di collaborare con VMware nel 2010, mi è stato chiaro che il futuro – della sostenibilità, dell’education e del business – sarebbe stato plasmato dalla tecnologia. Non ho potuto fare a meno di afferrare al volo l’opportunità. Volevo contribuire a far sì che il futuro della tecnologia potesse anche significare un futuro migliore per il mondo.
Più di dieci anni dopo, la tecnologia è ormai legata a doppio filo con la nostra vita, in modi che non avrei mai potuto prevedere. Definisce il mondo dell’istruzione, del lavoro e della comunicazione, ancora di più negli ultimi due anni. Questa centralità, però, mi porta anche a vivere sentimenti contrastanti.
Sono lontani i giorni in cui pensavamo che la Silicon Valley avrebbe salvato il mondo. Indubbiamente la tecnologia permette di compiere progressi straordinari che semplificano le nostre vite, consente di risolvere problemi complessi e può anche migliorare la produttività, le connessioni e la comunicazione. Al contempo, però, può anche portare alla perdita di posti di lavoro, può seminare divisioni sociali e può esacerbare le disuguaglianze.
Queste tensioni non hanno fatto altro che acuirsi negli ultimi anni. Normative sempre più stringenti, disinformazione sui social media e incidenti come quelli che hanno riguardato Cambridge Analytica e SolarWinds e la recente vulnerabilità Log4j hanno compromesso la fiducia verso la tecnologia. L’Edelman Trust Barometer ha rilevato che nel 2021 la fiducia nella tecnologia ha raggiunto i minimi storici in 17 Paesi su 27. Questo risultato si accentua negli Stati Uniti, dove il settore tecnologico è passato dal primo al nono posto in termini di fiducia percepita tra il 2020 e il 2021.
Quindi, se da un lato la tecnologia gioca un ruolo più che mai cruciale nel mondo, a livello collettivo il nostro livello di fiducia non è mai stato più basso. Cosa possiamo fare ora? La risposta a questa domanda rappresenta uno dei principali motivi per cui proprio la fiducia è il terzo e ultimo obiettivo dell’Agenda 2030 di VMware.
“Desideriamo che i clienti ci affidino i loro dati, possano contare sulla sicurezza dei nostri prodotti e facciano affidamento sulle nostre persone, ma riconosciamo anche che i nostri obblighi vanno ben oltre questo.”
Lo confesso: includere la fiducia in un framework ESG mi ha portato ad aver più di qualche dubbio, anche all’interno della nostra stessa organizzazione. La fiducia non dovrebbe essere importante per ogni azienda che si rispetti? Ovviamente la risposta è sì. Vogliamo che i clienti ci affidino i loro dati, possano contare sulla sicurezza dei nostri prodotti e che facciano affidamento sulle nostre persone, ma riconosciamo anche che i nostri obblighi vanno oltre questo.
VMware fa parte di un più ampio ecosistema tecnologico le cui regole e norme sono in continuo sviluppo e definizione. Come settore tecnologico, dobbiamo ancora raggiungere un consenso globale del significato di etica digitale. Ho sentito qualcuno affermare che i problemi emersi a causa della tecnologia non sono da attribuire ad essa in quanto tale, che la tecnologia è uno strumento agnostico nelle mani delle persone, che a loro volta sono gli unici responsabili del suo utilizzo. Credo che questa sia una tesi fuorviante. La tecnologia non può essere neutrale, perché è creata dalle persone, e le persone non sono mai neutrali. Riconoscere questo è già un primo passo che permette al nostro settore di prendere coscienza del debito che ha verso il mondo che ridefiniamo ogni giorno.
Non possiamo neppure ignorare che l’infrastruttura digitale che creiamo è oggetto di minacce che non sono mai state così pericolose. La sicurezza informatica è da sempre considerata un problema del settore IT. Eppure, con così tante informazioni condivise online e così tanti settori che utilizzano strumenti digitali per le loro operation business critical, attacchi informatici e violazioni dei dati possono avere un impatto significativo sulla società.
Rispetto alla privacy dei dati, le aziende devono riflettere su come essere più attente e trasparenti nella raccolta, nell’uso e nella protezione degli stessi e questo mi fa sperare che, un giorno, la resilienza informatica farà parte della strategia ESG di ogni azienda.
In VMware stiamo facendo esattamente questo. Ci atteniamo agli standard più rigorosi per la trasparenza e la creazione di report, non solo perché è la cosa giusta da fare, ma perché vogliamo alzare l’asticella per l’intero settore. Stiamo integrando concetti quali sicurezza zero-trust e privacy by design nei nostri prodotti, non perché li riteniamo elementi di differenziazione, ma perché sappiamo che lo dobbiamo ai nostri clienti, gli utenti finali dei nostri prodotti, e a tutta la società.
Ho già scritto in passato del perché sostenibilità e uguaglianza facciano parte dell’Agenda 2030. Sono temi con una portata talmente universale e una priorità talmente urgente da dover trovare posto nell’agenda di ogni azienda, indipendentemente dal settore. Farsi portavoce della fiducia, della sicurezza e della privacy in un mondo digitale che si espande e permea ogni aspetto della nostra vita è una responsabilità del settore tecnologico. È il momento di esserne pienamente consapevoli.
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