Di Kristine Dahl Steidel, Vice President End User Computing EMEA, VMware
Quest’anno l’ambiente di lavoro ha, per forza di cose, subito una rivoluzione. Le trasformazioni dei modelli lavorativi, che per decenni sono state oggetto di discussione in molti Paesi, hanno rapidamente raggiunto la prima posizione nelle priorità aziendali. Alcune organizzazioni come Barclays, dopo l’iniziale riluttanza ad adottare il lavoro distribuito, si sono rese protagoniste di un’inversione di tendenza, mentre altre come Capital One e Spotify hanno apportato modifiche permanenti adottando uffici virtuali.
Molte aziende si trovano ora davanti a un bivio per quanto riguarda il futuro dei propri modelli lavorativi. Con il sempre maggiore consolidamento di una forza lavoro distribuita in qualsiasi luogo, ha ancora importanza il posto in cui stai lavorando, proprio ora? Che sia in ufficio, a casa, in un internet café… Se i livelli di produttività sono elevati e i dipendenti sono positivamente coinvolti, cosa frena le aziende?
La nostra nuova ricerca condotta in collaborazione con Vanson Bourne ha rivelato che il 41% dei dipendenti in tutta l’area EMEA (percentuale che tocca il 69% In Italia) ora considera il lavoro a distanza come un prerequisito piuttosto che un benefit*. Tuttavia, nonostante la richiesta di integrare un approccio più flessibile al lavoro nei modelli di business, possiamo osservare come chi ricopre ruoli dirigenziali faccia ancora fatica ad adattarsi alla nuova situazione. Ad esempio, quando la produttività non viene misurata attraverso la visibilità diretta, il 41% dei manager nell’area EMEA (il 39% in Italia) teme ancora che il loro team non svolga le proprie attività quando lavora da remoto e oltre la metà (il 69% in Italia) sente la pressione di dover rimanere online al di fuori del normale orario di lavoro.
Ovviamente, non esiste più un approccio al lavoro che sia unico e valido per tutti. Quello che potrebbe funzionare per un senior manager in un Paese, potrebbe non andare bene per un neolaureato in un altro Paese. Grazie alle informazioni approfondite ricavate dalla nostra ricerca, siamo entrati nei diversi mondi di vari tipi di lavoratori, per dimostrare come la nuova modalità abbia un impatto diverso sulle persone a seconda del settore a cui si fa riferimento, del momento della propria carriera, del genere e della generazione a cui si appartiene:
Neolaureato di 22 anni impiegato nel settore finanziario, uomo
Paul è un neolaureato che lavora in una società finanziaria di Francoforte. Nonostante all’inizio abbia avuto qualche difficoltà a mettersi in contatto virtualmente con alcuni dei suoi colleghi, nella sua nuova azienda c’è un’atmosfera positiva e il morale dei dipendenti è alto. Facendo parte della Generazione Z, Paul è cresciuto in un mondo digital-first, quindi non crede che questo stile di lavoro ostacolerà la sua carriera. Nella sua generazione:
- Il 61% si sente più incoraggiato a parlare durante le riunioni video
- Il 62% si sente più apprezzato dai propri manager
- Ma il 61% avverte una maggiore pressione quando è online al di fuori del normale orario di lavoro
- Il 34% ritiene che la propria produttività sia aumentata da quando lavora da remoto
- Il 30% afferma che la collaborazione all’interno dei team è aumentata
Medico di base, 45 anni, donna
Kate è un medico di base che lavora a Lione. Da marzo ha ridotto drasticamente le visite di persona ai pazienti. La digital transformation nel settore sanitario ha permesso a Kate di visitare molti più pazienti rispetto a prima grazie alle videochiamate, e di farlo all’orario che preferisce, ottenendo un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. In particolare, nel settore sanitario, i manager descrivono le seguenti esperienze:
- Il 71% sostiene che i livelli di stress siano migliorati
- Il 67% si sente più apprezzato dai colleghi
- Il 40% ritiene di essere più produttivo da quando lavora da remoto
- L’89% ritiene che i consulti a distanza e i controlli di routine saranno più rapidi
- L’84% ritiene che il passaggio alla telemedicina creerà nuove opportunità a lungo termine
Papà che lavora da casa nella selezione del personale, 35 anni, uomo
Louis è un responsabile HR che vive fuori Londra con la sua famiglia e, da marzo, lavora da casa a tempo pieno. Senza i lunghi spostamenti quotidiani in città, Louis ha più tempo da trascorrere con i suoi figli e ha addirittura registrato un aumento della produttività. Altri uomini hanno avuto la stessa esperienza negli ultimi mesi:
- L’80% ritiene che l’equilibrio tra lavoro e vita privata sia migliorato
- Il 70% sostiene che i livelli di stress siano migliorati
- Il 42% è preoccupato per la produttività del proprio team quando lavora da remoto
- Il 73% ritiene che l’innovazione può, rispetto al passato, originarsi e prendere vita da più “luoghi” all’interno dell’organizzazione.
- Il 68% afferma che l’assunzione dei talenti migliori è più facile
Responsabile IT, 57 anni, donna
Catherine è una decision maker IT che lavora nella pubblica amministrazione a Copenaghen. Grazie alle sue forti competenze digitali, il passaggio al lavoro distribuito è stato naturale, ma ha investito molto tempo per garantire ai suoi colleghi la tecnologia e le competenze giuste per continuare a lavorare da remoto. Altri decision maker IT in tutta l’area EMEA hanno avuto un’esperienza simile:
- Il 66% afferma che la propria organizzazione riconosce i vantaggi del lavoro da remoto e non tornerebbe alla vecchia modalità di lavoro
- Solo il 35% ritiene che il proprio reparto IT non sia attrezzato per gestire una forza lavoro da remoto
- Il 26% ritiene che la cultura delle figure dirigenziali scoraggi il lavoro da remoto
- Il 68% si sente più incoraggiato a esprimere liberamente le proprie opinioni di fronte ai dirigenti
- Il 45% è preoccupato per la produttività del proprio team quando lavora da remoto
Diventare organizzazioni “anywhere”, distribuite
La rivoluzione dell’ambiente di lavoro ha costretto le aziende a diventare organizzazioni “anywhere”, distribuite. Questi scenari ipotetici riflettono il reale sentimento dei dipendenti, che non vogliono tornare alle vecchie abitudini lavorative e apprezzano invece la nuova flessibilità offerta.
Le aziende lungimiranti dovranno essere in grado di soddisfare questa nuovo approccio al lavoro distribuiti da parte dei dipendenti, che lo considerano ormai come un prerequisito piuttosto che un benefit. I leader devono ora instaurare una cultura di totale fiducia nella produttività e nei risultati per creare un ambiente di lavoro che non sia più basato sulla gestione diretta “di persona” e che favorisca il successo dei dipendenti nel nuovo mondo del lavoro.
Per ulteriori informazioni, leggi la nostra ricerca “La nuova era del lavoro a distanza”
* “La nuova era del lavoro a distanza: Trends in the Distributed Workforce” si basa su un sondaggio, sponsorizzato da VMware, condotto su 2.850 intervistati EMEA (950 decision maker HR, 950 decision maker IT e 950 decision maker aziendali) in 12 paesi – Regno Unito (600), Francia (450), Germania (450), Italia (150), Paesi Bassi (150), Russia (150), Polonia (150), Norvegia (150), Svezia (150), Spagna (150), EAU (150) e Arabia Saudita (150). Vanson Bourne ha condotto l’indagine a giugno e luglio 2020.